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Santi del 15 Novembre

Il mio Santo > I Santi di Novembre

*Sant'Alberto Magno – Domenicano, Vescovo e Dottore della Chiesa (15 novembre)
Lauingen (Baviera), 1206 circa - Colonia, 15 novembre 1280
Alberto, filosofo e teologo, assiduo ricercatore dell'incontro fra la scienza e la fede.
Domenicano, dottore della scolastica, insegnò nelle più celebri cattedre del suo tempo e a Parigi ebbe come suo discepolo San Tommaso d'Aquino.
Vescovo di Ratisbona per due anni (1260-1262), fu promotore di pace della vita civica e sociale. (Mess. Rom.)
Patronato: Scienziati
Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Alberto, detto Magno, vescovo e dottore della Chiesa, che, entrato nell’Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi con la parola e con gli scritti filosofia e teologia.
Maestro di san Tommaso d’Aquino, riuscì ad unire in mirabile sintesi la sapienza dei santi con il sapere umano e la scienza della natura.
Ricevette suo malgrado la sede di Ratisbona, dove si adoperò assiduamente per rafforzare la pace tra i popoli, ma dopo un anno preferì la povertà dell’Ordine a ogni onore e a Colonia in Germania si addormentò piamente nel Signore.
Alberto, della nobile famiglia Bollstadt, prese ancora giovanissimo l’Abito dei Predicatori dalle ani del Beato Giordano di Sassonia, immediato successore del Santo Patriarca Domenico.
Dopo aver trionfato nel mondo, al giovane studente sembrò ostacolo insormontabile le difficoltà
che incontrava nello studio della Teologia, e fu tentato di fuggire dalla casa del Signore.
La Madonna, però, di cui era devotissimo, lo animò a perseverare, rassenerandolo nei suoi timori, dicendogli: “Attendi allo studio della sapienza e affinché non ti avvenga di vacillare nella fede, sul declinare della vita ogni arte di sillogizzare ti sarà tolta”.
Sotto la tutela della Celeste Madre, Alberto divenne sapiente in ogni ramo della cultura, sì da essere acclamato Dottore universale e meritare il titolo di Grande, ancor quando era in vita.
Insegnò con sommo onore a Parigi e nei vari Studi Domenicani di Germania, soprattutto in quello di Colonia, da lui fondato, dove ebbe tra i suoi discepoli San Tommaso d’Aquino, di cui profetizzò la grandezza.
Fu Provinciale di Germania e, nel 1260, Vescovo di Ratisbona, alla cui sede rinunziò per darsi di nuovo all’insegnamento e alla predicazione. Fu arbitro e messaggero di pace in mezzo ai popoli, e al Concilio di Lione portò il contributo della sua sapienza per l’unione della Chiesa Greca con quella Latina.
Avanzato negli anni saliva ancora vigoroso la cattedra, ma un giorno, come Maria aveva predetto, la sua memoria si spense.
Anelò allora solo al cielo, al quale volò dopo quattro anni, il 15 novembre 1280, consumato dalla divina carità.
La sua salma riposa nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea a Colonia.
Papa Gregorio XV nel 1622 lo ha beatificato.
Papa Pio XI nel 1931 lo ha proclamato Santo e Dottore della Chiesa.
Il 16 dicembre 1941 Papa Pio XII lo ha dichiarato Patrono dei cultori delle scienze naturali.
(Autore: Franco Mariani – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alberto Magno, pregate per noi.

*Sant'Alonso (Alfonso) Rodriguez - Gesuita, Martire (15 novembre)

Zamora (Spagna) 10 marzo 1599 – Caaró, Rio de La Plata, 15 novembre 1628
Etimologia:
Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
Martirologio Romano: In località Caaró in Paraguay, Santi Rocco González e Alfonso Rodríguez, sacerdoti della Compagnia di Gesù e martiri, che avvicinarono a Cristo le diseredate popolazioni indigene fondando i villaggi chiamati reducciones, nei quali il lavoro e la vita sociale si coniugavano liberamente con i valori del cristianesimo, e furono per questo uccisi in un agguato dal sicario di uno stregone.
Caso raro se non unico nella agiografia della Chiesa Cattolica, esistono due santi con nome e cognome uguali Alfonso (Alonso) Rodriguez e per di più entrambi gesuiti e contemporanei del XVII secolo, quello che li distingue e che il Sant’ Alfonso Rodriguez di cui parliamo è un martire e l’altro no. Padre Alonso Rodriguez nacque a Zamora (Spagna) il 10 marzo 1599 e fece il noviziato a Villa Garcia (Valladolid; destinato alle Missioni in Paraguay salpò da Lisbona il 4 novembre 1616 e sbarcò a Buenos Aires il 15 febbraio 1617.
Uomo di grande giudizio e prudenza, capace d’insegnare, fu considerato dal suo superiore Mastrilli uomo di governo; fu il primo gesuita ad apprendere il “guaycurù”, l’ostico e difficile idioma degli Indios locali.
La sua vicenda di apostolato missionario e il fulgido martirio, s’inquadrano nella particolare situazione delle “riduzioni” iniziate dal gesuita M. di Lorenzana, all’inizio del ‘600 in Paraguay ed Uruguay.
Le “riduzioni” erano villaggi indigeni nei quali i Gesuiti riunirono gli Indios che vivevano sparsi e nomadi, insegnando loro a lavorare stabilmente, per convertirli al cristianesimo e avviarli alla vita civile; la prima di queste “riduzioni” della vasta zona del Rio de La Plata, fu quella di S. Ignazio Guassù (S. Ignazio il Grande).
Ma questo benemerito progetto di lavoro sociale e di promozione umana, incontrò l’ostilità degli avidi ‘commendatori’, che per i loro interessi terrieri, sequestravano le terre degli Indios, con
l’appoggio di parte del governo coloniale; i missionari gesuiti furono gli strenui difensori delle “riduzioni” e degli emarginati indios.
Gli sforzi missionari dei Gesuiti in quelle zone ancora vergini dell’Uruguay e Paraguay e l’istituzione delle “riduzioni”, furono magistralmente rappresentati nel famoso film “Mission”.
Padre Alfonso Rodriguez affiancò padre Rocco Gonzalez de Santa Cruz paraguyano e incaricato del funzionamento delle “riduzioni”, il quale nel 1614 spinse le sue missioni apostoliche attraverso le regioni selvagge del Paranà e dell’Uruguay, fino allora inesplorate, continuando a fondare altre “riduzioni”, dedicandosi ‘tutto a tutti’, battezzando grandi e piccoli, amministrando i Sacramenti.
Ma gli stregoni delle tribù, ovviamente non gradivano la presenza dei missionari e uno di questi di nome Niezú, fingendo di accondiscendere alle ragioni dei missionari, preparò invece una congiura per distruggere le “riduzioni”, che erano viste da lui come il fumo negli occhi.
Padre Rocco Gonzalez de Santa Cruz aveva il 15 agosto 1628, fondata per i 400 Indi del Yjuì la “riduzione” dell’Assunzione, chiamando a dirigerla padre Juan del Castillo gesuita spagnolo, poi proseguì con la collaborazione di padre Alfonso Rodriguez a lavorare per gli Indios, progettando una nuova “riduzione” nel Caaró, allora all’estremo confine dell’Uruguay, oggi nel Brasile e il mattino del 15 novembre 1628 celebrò la Messa su un altare improvvisato, dopo il ringraziamento si misero a lavorare per erigere gli edifici in legno, dirigendo il folto gruppo di Indios.
Mentre erano chini ad attaccare il batacchio della campana per l’erigenda chiesa, uno dei congiurati colpì alla testa con una mazza di pietra uccidendolo, padre Rocco Gonzalez e poi altri uccisero allo stesso modo anche il confratello Alfonso Rodriguez.
Due giorni dopo, il 17 novembre, mentre leggeva il breviario nella sua “riduzione”, anche padre Juan del Castillo, circondato da un gruppo di Indios fu trascinato nei boschi e poi ammazzato a colpi di scure.
Degni figli di Sant'Ignazio, i tre martiri del Rio de La Plata, furono beatificati da Papa Pio XI il 28 gennaio 1934 e poi canonizzati da Papa Giovanni Paolo II il 16 maggio 1988 ad Asunción in Paraguay.
Sant'Alonso Rodriguez è celebrato insieme a San Rocco Gonzalez il 15 novembre, San Juan del Castillo il 17 novembre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alonso Rodriguez, pregate per noi.

*Beato Caio di Corea - Martire in Giappone (15 novembre)  

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Giapponesi" Beatificati nel 1867-1989-2008

Corea, 1571 – Nagasaki, Giappone, 15 novembre 1624
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, Beato Caio Coreano, martire, che, catechista fu dato al rogo per aver confessato Cristo.
Il Beato Caio, nonostante il nome tipicamente latino che potrebbe trarre in inganno, è il primo martire cristiano di nazionalità coreana. Nato appunto in questo paese dell’Estremo Oriente nel 1571, quando ancora in quella terra non era ancora penetrato il cristianesimo, avendo una naturale inclinazione alla vita soprannaturale, si diede alla vita eremita in una grotta. Quando i giapponesi invasero la Corea, Caio venne fatto prigioniero ed imbarcato.
Un naufragio lo condusse provvidenzialmente nella casa di un neofita cristiano, il quale pensò di condurlo dai missionari gesuiti nella diocesi di Funai.
Grazie ad essi Caio conobbe la vera fede, ricevette il battesimo e divenne appassionato e zelante
catechista, aiutante dei missionari, infermiere dei lebbrosi, tanto da meritarsi l’appellativo di “piccolo apostolo”.
Quando però infuriò nuovamente in Giappone una persecuzione anticristiana, Caio fu arrestato e gli fu ingiunto di non spiegare più i libri sacri ai neofiti.
Il catechista coreano rispose però con convinzione che non avrebbe potuto rinnegare la sua fede per acconsentire alle loro richieste, siccome bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini.
Fu allora condannato a morte e la sentenza fu eseguita a Nagasaki il 15 novembre 1624. Legato con una leggera cordicella al braccio sinistro, Caio fu posto vicino ad un braciere che lo ustionò lentamente, senza arderlo.
Morì così tra i più terribili tormenti, ringraziando il Signore di averlo condotto dalla Corea al martirio di Nagasaki, ma in pieno possesso di quella verità per la quale era giusto soffrire e bello donare la vita.
Caio fu beatificato dal pontefice Pio IX il 7 maggio 1867 con altri 204 martiri in terra giapponese di varie nazionalità ed è ancora oggi in attesa di canonizzazione.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Caio di Corea, pregate per noi.

*San Desiderio di Cahors - Vescovo (15 novembre)
Martirologio Romano: A Cahors in Aquitania, ora in Francia, San Desiderio, vescovo, che costruì molte chiese, monasteri ed edifici di pubblica utilità e mai trascurò di preparare le anime all’incontro con lo Sposo celeste, facendone un vero tempio di Cristo.
Nacque nella provincia di Narbona, da nobile famiglia galloromana, all'inizio del sec. VII e fu allevato alla corte di Clotario II con i suoi fratelli Rustico e Siagrio.
Desiderio (lat. Gangericus; fr. Géry), detto Géry,  esercitò funzioni amministrative sotto il regno di Dagoberto (629).
Quando Rustico, divenuto vescovo di Cahors, fu assassinato, Desiderio gli successe e fu consacrato dal vescovo di Bourges, Sulpizio.
É rimasta di lui una corrispondenza interessante, gran parte della quale diretta ai suoi amici di gioventù, nella maggioranza vescovi come lui.
Fondò il monastero di Sant'Amando, chiamato in seguito St Géry, a Cahors e sotto il suo episcopato sorse pure la celebre abbazia di Moissac. Amministrò in modo assai lodevole la sua città episcopale. Morì un 15 novembre, verso il 655.
Il suo corpo fu sepolto nel monastero di Sant'Amando, che prese allora il nome di San Desiderio o St Géry, e più tardi fu trasferito nella cattedrale, dove le sacre reliquie furono disperse dagli Ugonotti nel 1581. La sua festa è segnata al 27 novembre nel Proprio della diocesi di Cahors.
(Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Desiderio di Cahors, pregate per noi.

*Beato Enea da Faenza (15 novembre)  

m. 15 novembre 1437
Il culto è accertato dall’esistenza di un affresco, ora nel vescovado, nella Chiesa dei Servi di Maria a Faenza.
Altre opere d’arte lo raffiguravano con altri Beati dell’Ordine dei Serviti. Nulla si conosce della sua vita, secondo alcuni è moro il 15 novembre 1437.
Questa potrebbe essere la data della memoria liturgica.
Il culto non è ancora stato riconosciuto dalla Santa Sede: si può dire che è Beato per volontà di popolo!
(Autore: Don Marco Grenci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enea da Faenza, pregate per noi.  

*Sant'Eugenio - Martire a Deuil (15 novembre)  
Etimologia: Eugenio = ben nato, di nobile stirpe, dal greco
Emblema: Palma
Una passio, scritta nell'850-875 (?) sotto l'influenza della abbazia di San Dionigi, priva, peraltro, di ogni carattere storico, pretende che Eugenio fosse cittadino romano. Andando in Francia, San Dionigi l'Aeropagita lo incontrò e gli conferì l'episcopato, assegnandogli Toledo come campo di apostolato.
Dopo alcuni anni di predicazione fruttuosa, Eugenio volle rivedere Dionigi, di cui ignorava il martirio, per informarlo del suo lavoro. Fu anche lui arrestato per ordine di Fescennino Sisinnio e decapitato il 15 novembre. Gli indicò dove si trovava il corpo del martire.
Solo dato certo è che a Deuil si trovava un modesto santuario che si gloriava di possedere le reliquie di Sant'Eugenio e l'origine di questo culto sembra essere la deposizione delle spoglie del martire, probabilmente orientale, sotto l'altare della chiesa. Le reliquie, senza dubbio per metterle al riparo dai Normanni, furono trasferite in San Dionigi.
Eugenio è citato il 15 novembre dal Martirologio di Wandeberto di Prum (verso l'848) e da quello
di Usuardo (verso l'875), i quali, però, non parlano affatto del suo carattere episcopale.
Il 18 agosto 919 (?) il suo corpo, per iniziativa del riformatore monastico, San Gerardo, fu portato da San Dionigi a Brogne (oggi nella diocesi di Namur). Nella descrizione di questo trasferimento Eugenio ha ricevuto il titolo di vescovo di Toledo.
Deuil, malgrado la duplice traslazione, continuò a venerare il Santo. La sua chiesa, ceduta nel 1060 a San Florenzo di Saumur, fu ricostruita nei secc. XI-XII e restaurata recentemente. Nel sec. XIII Sant'Eugenio appariva nei libri liturgici di Parigi e nei calendari di altre Chiese, ma solo col titolo di martire; all'opposto, l'abbazia di San Dionigi, ispirandosi ai dati della passio, festeggiò il santo come martire e vescovo di Toledo, titolo che, sotto la influenza della stessa passio, è accordato ad Eugenio dai libri liturgici di Liegi e dal Martirologio di Echternach (cod. Paris. 10158) della fine del sec. XII.
Anche in Spagna il culto di Eugenio dipende completamente delle leggende di San Dionigi. Non vi era, d'altra parte, nessuna venerazione liturgica prima della traslazione del 1156: il 12 febbraio di quell'anno, su richiesta di Luigi VII, re di Francia, prima, e poi del re di Castiglia, Alfonso VII, l'abate di San Dionigi portò un braccio del Santo a Toledo. Nello stesso modo, a seguito delle istanze di Filippo II, dopo Carlo X, i monaci di San Dionigi accordarono alla cattedrale di Toledo tutto ciò che ancora possedevano di reliquie, ad eccezione di un braccio.
Questa traslazione, avvenuta il 18 novembre 1565, come la precedente, pone un problema di autenticità, perché anche a Brogne si diceva di possedere il corpo intero del santo. Nel 1736 il Breviario parigino di Ventimiglia accorda a Eugenio una lezione storica, che riprende i dati leggendari della passio.
(Autore: Rombaut Van Doren - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eugenio, pregate per noi.

*San Felice di Nola - Vescovo (15 novembre)  

m. 9 febbraio 484
E' il primo vescovo di Nola, festeggiato al 15 novembre.
Patronato: Nola
Emblema: Bastone pastorale, Calice della s. manna, Braccio teso contro il Vesuvio
Martirologio Romano: A Nola in Campania, san Felice, della cui cura pastorale e del cui culto questa città si onora.
Su questo personaggio pochissimi sono i dati sicuri e molti quelli leggendari o poco chiari. Le notizie certe riguardano l'inizio del pontificato, 473, e la sua morte, 9 febbraio 484, come si può rilevare da una iscrizione sepolcrale. Per il resto la leggenda ha molto lavorato creando confusioni da cui non è facile districarsi.
Altri santi di nome Felice furono venerati nell'Italia Centrale (Felice ed Adautto a Roma) e Meridionale (Felice di Thibiuca a Venosa); nella stessa Nola e regioni limitrofe fu oggetto di
grandissimo culto un s. Felice, prete, per cui gli agiografi medievali confusero gli uni con gli altri dando origine, nelle passiones, a curiosi equivoci. Nacquero sdoppiamenti di persone: a Nola, infatti, si parlò di un Felice protovescovo, distinto dal più famoso prete.
Di questo presunto primo vescovo si scrisse anche una passio, in cui si narra che Felice, già all'età di quindici anni, dimostrò miracolose virtù; compì viaggi raggiungendo la Persia; ritornato a Nola convertì lo stesso governatore Archelao che intendeva condannarlo perché cristiano.
Poi, durante l'impero di Valeriano, fu dal preside Marciano condannato, assieme ad altri trenta, alla decapitazione (15 novembre 259).
Il prete Elpidio nascose il corpo in un pozzo su cui fu in seguito costruita una chiesa.
Queste notizie passarono poi nei diversi martirologi: il lionese dell'806 lo commemora il 27 agosto; Floro ed Adone il 15 novembre e il Martirologio Romano riprende quest'ultima data.
In realtà, il protagonista di questa passio, questo Felice, vescovo di Nola nel III sec., non è mai esistito: si tratta quindi di uno sdoppiamento del Felice prete, divenuto, negli scritti leggendari, vescovo e martire.
Il primo vescovo di questo nome è invece certamente vissuto verso la fine del sec. V (da molti autori è chiamato Felice II o junior); ma morì il 9 febbraio 484. Nella diocesi di Nola, Felice episcopus et martyr si festeggia al 15 novembre.
(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Felice di Nola, pregate per noi.

*San Fintano - Recluso (15 novembre)  

Martirologio Romano: A Rheinau nell’odierna Svizzera, San Fintano, che, originario anch’egli dell’Irlanda, visse a lungo per amore di Dio in un monastero e, ancor più a lungo, come recluso in una piccola cella accanto alla chiesa.
Nato agli inizi del secolo IX nella provincia irlandese del Leinster, Fintano (Findano) fu catturato in gioventù dai Vichinghi, che lo portarono come schiavo nelle isole Orcadi, donde tuttavia poté poi fuggire, riuscendo a raggiungere a nuoto, miracolosamente, la costa scozzese di Caithness, dove visse due anni presso un vescovo del luogo.
Considerando la sua salvezza un dono divino, offerse tutta la sua vita al Signore, consacrandosi interamente al suo servizio e promettendo di andare in pellegrinaggio a Tours ed a Roma per venerare la tomba degli Apostoli.
Sciolto infatti il suo voto, si recò dapprima in Germania, dimorandovi in stato clericale presso un nobile signore, quindi andò a farsi monaco, ormai cinquantenne, nell’abbazia benedettina di Rheinau, che sorge su un’isola del Reno, sotto Schaffhausen nella diocesi di Costanza.
Qui trascorse tutto il resto della sua vita, facendosi inoltre rinchiudere, nell’856, in un'angusta celletta situata «ad septemtrionalem partem basilicae sanctae Mariae genitricis Dei», dove «22 annos incomparabiliter corpus perdomuit», come leggessi nella Vita anonima, scritta intorno al 900, forse da un altro recluso di Rheinau, che sembra aver conosciuto il Santo, morto il 15 novembre 878.
Fintano non deve aver mai ricevuto la sacra ordinazione, perché in una lista dell’abbazia svizzera a noi pervenuta, contenente i «Nomina fratrum de monasterio Rinauva», il suo nome trovasi accompagnato solamente dalla semplice qualifica abbreviata di monachus, mentre molti altri nomi sono seguiti dall’abbreviazione dei titoli abbas, presbyter, diaconus o subdiaconus.
Dal secolo XIII San Fintano fu venerato come compatrono di Rheinau, dove ancora nel 1573 esisteva una cappella a lui dedicata.
Le sue reliquie, salvo la testa, andarono distrutte tra le fiamme di un incendio appiccato dai luterani nel 1529. Il culto liturgico è pochissimo diffuso, tuttavia la sua festa trovasi iscritta al 15 novembre in tre calendari alsaziani (uno del X secolo e due del XII), in un messale, pure del secolo XII, usato in una località nei pressi di Bressanone, ed in un calendario di Strasburgo del 1520.
Nel sigillo dell’abbazia di Rheinau san Fintano viene raffigurato in abito di pellegrino, mentre un’incisione del XVIII secolo lo rappresenta in atto di traversare il mare sul suo mantello spiegato, con la leggenda: «San Fintanus mari ac hostibus undique circumdatus voto facto per medios fluctus pallio pro navi usus evadit»
(Autore: Niccolò Del Re - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fintano, pregate per noi.

*San Flaviano di Vercelli - Vescovo (15 novembre)  

m. Vercelli, 556
San Flaviano, quattordicesimo vescovo di Vercelli, successore di San Costanzo, fu insigne poeta e cultore della memoria dei santi locali. San Flaviano promosse inoltre la decorazione con particolari ornamenti, dell’antica basilica eusebiana.
Etimologia: Flaviano = dai capelli biondi, dal latino
Emblema: Mitra, Pastorale
San Flaviano fu il quattordicesimo vescovo di Vercelli, succedendo così a San Costanzo nel 541 circa. La sua cultura elevata denota la quasi certa provenienza dal celebre cenobio fondato dal protovescovo Sant’Eusebio, un’istituzione che raccoglieva a vita comune e sotto un’austera disciplina i candidati al sacerdozio, in pratica una sorta di seminario del tempo.
Flaviano è ricordato dagli storici quale “Damaso vercellese”, paragonandolo così al Papa poeta San Damaso, dunque il più elevato rappresentante della scuola poetica e letteraria del cenobio.
Il Santo vescovo lasciò preziosi segni della sua capacità di compositore nei carmi sepolcrali
dedicati ai primi Santi della diocesi vercellese. Gli scritti di Flaviano, infatti, sono conservati esclusivamente nei marmi e nelle sillogi antiche e comprendono in tutto un centinaio di versi riferiti a Sant’Eusebio ed alle prime consorelle del cenobio femminile, fondato da Santa Eusebia, presunta sorella del protovescovo.
Si segnala in particolare lo splendido carme che orna il sepolcro delle Sante Costanza ed Esuperia, sorelle del vescovo San Costanzo.
San Flaviano promosse inoltre la decorazione con particolari ornamenti, in particolare mosaici ed iscrizioni metriche, dell’antica basilica eusebiana.
Questo vescovo è sicuramente annoverato tra i più illustri porporati vercellesi. Il suo epitaffio funebre ricorda le sue peculiari qualità: prestante nel fisico e nella virtù, generoso nel perdonare, buono di cuore, versatile e vivace d’ingegno, delicato di sentimento e ricco di vita interiore. Queste sue doti, sopravvissute all’oblio del tempo, emergono ancora oggi dai suoi carmi.
Dopo tanti secoli testimoniano infatti ancore che Dio è armonia, bellezza e soprattutto amore, come ha ricordato nella sua prima enciclica il pontefice Benedetto XVI.
San Flaviano è festeggiato al 15 novembre, anche se in realtà purtroppo la sua memoria non compare più sul calendario liturgico diocesano.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Flaviano di Vercelli, pregate per noi.

*Beato Francesco Catani - Francescano (15 novembre)

† Firenze, 15 novembre 1431
Il Beato Francesco Catani è vissuto tra il XIV e XV secolo. Egli entrò nel Terz’ordine francescano, e condusse una vita eremitica in una parte della Verna, in “uno scoglio” che un suo antenato, il conte Orlando aveva donato a San Francesco d’Assisi.
Si tramanda che il Beato Francesco proveniva da una famiglia nobile di Chiusi.
Dopo aver vissuto in quella condizione, desideroso di una maggior solitudine, si ritirò nelle vicinanze a Firenze, presso un’edicola dove morì santamente il 15 novembre 1431.
Nel martirologio francescano è ricordato nel giorno 15 novembre.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Catani, pregate per noi.

*Beato Gerardo - Mercedario (15 novembre)  
Contemporaneo di San Pietro Nolasco, il Beato Gerardo, era mercedario nel convento di Sant'Eulalia a Carcassona in Francia.
Splendore di fede in Dio e santità della vita, famoso per tutte le virtù morì nel bacio del Signore.
L'Ordine lo festeggia il 15 novembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gerardo, pregate per noi.

*Beato Giulio Bonati - Sacerdote e Martire (15 novembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:

"Beati Martiri Albanesi (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) - 5 novembre

Scutari, Albania, 24 maggio 1874 – Durazzo, Albania, 15 novembre 1951
Monsignor Jul Bonati, già membro della Compagnia di Gesù, fu poi vicario generale della diocesi di Durazzo.
Al momento dell’arresto da parte della polizia comunista, era parroco di Vlora. Vittima di pesanti torture, assistette Monsignor Vinçenc Prennushi, arcivescovo di Durazzo, nella sua agonia.
Di lì a poco venne destinato all’ospedale psichiatrico di Durazzo, dove morì il 5 novembre 1951. Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Prennushi, è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
Il secondo periodo della persecuzione
Il secondo periodo della persecuzione religiosa in Albania viene fissato dagli studiosi dal 1951 al 1960. In quegli anni il dittatore Enver Hoxha interruppe le relazioni diplomatiche con la Jugoslavia di Tito, accusandola di mire espansionistiche sull’Albania, e si avvicinò al comunismo sovietico.
Da Mosca arrivò, in seguito, l’ordine di emanare delle leggi meno restrittive per la Chiesa cattolica: il 30 luglio 1951 venne firmato un accordo tra Stato e Chiesa, ma il testo prevedeva che la seconda non avesse più alcun rapporto con il Papa. Chi si ribellò a quelle norme finì, ben presto, in prigione.
Prima gesuita, poi prete diocesano
Jul Bonati nacque a Scutari il 24 maggio 1874, da Aleksandёr Bonati, naturalizzato albanese ma di origini venete, e Roza Malgushit. Studiò al Collegio Saveriano dei padri Gesuiti a Scutari, poi, nel 1891, entrò nel loro noviziato a Portoré in Istria (oggi Kraljevica in Croazia).
Dopo l’ordinazione sacerdotale, fu docente a Como, Soresina, Milano, Scutari e Istanbul. Tuttavia, il 14 agosto 1912, uscì dalla Compagnia di Gesù per passare al clero diocesano.
Per un lungo periodo, sedici anni, fu a Istanbul, a servizio del Vicariato apostolico per i cattolici latini, e prese parte attiva al movimento indipendentista albanese.
In seguito si trasferì a Durazzo, diventando vicario generale della diocesi; tre anni dopo divenne parroco a Vlora, città di mare situata nell’omonima baia.
L’arresto e la condanna
Arrestato dalla polizia di regime, il 6 novembre 1946 venne processato a Scutari, con l’accusa di essere una spia del Vaticano in combutta con un’altra figura di primo piano del cattolicesimo albanese: monsignor Vinçenc Prennushi, arcivescovo di Durazzo, che si era opposto apertamente all’idea di creare una Chiesa nazionale staccata dall’autorità del Papa.
Il vescovo fu condannato a vent’anni di carcere, mentre monsignor Bonati se ne vide assegnare sette. Vittima di pesanti interventi volti a degradare la sua umanità, riferì a una nipote: «Ho subito delle torture inaudite, unicamente per soddisfare la loro paura irrazionale».
La testimonianza di Arshi Pipa
Il professor Arshi Pipa, incarcerato con monsignor Prennushi, raccontò in seguito un episodio che rappresenta con efficacia il legame tra lui e monsignor Bonati: «Mi ricordo una scena molto triste. Un giorno gli ufficiali della Sigurimi condussero padre Jul Bonati (che era il parroco di Vlora) dalla prigione di questa città per soggiornarvi un po’ di tempo prima che fosse inviato all’ospedale psichiatrico di Durazzo.
Avevo incontrato padre Bonati molto tempo prima, quando studiavo a Firenze. Allora stavo cercando di far pubblicare la sua traduzione in italiano del “Liuto delle Montagne”, il capolavoro del poeta albanese padre Gjergj Fishta.
Cominciai a parlare con lui e gli rivelai che l’uomo sul punto di soffocare sul vicino letto era l’arcivescovo Prennushi. Padre Bonati, lui stesso poco capace di tenersi sulle sue gambe a causa delle sue infermità, si gettò ai piedi del letto dell’arcivescovo e cercò di baciargli la mano.
Ma l’Arcivescovo, sebbene fosse al massimo di una crisi di asma, ritirò prontamente la sua mano. Padre Bonati gli domandò allora la sua benedizione.
Dopo molti sforzi, l’arcivescovo posò la mano sulla testa del prete, poi ricadde inerte sul suo letto».
La morte e la beatificazione
Di lì a poco, monsignor Bonati venne portato all’ospedale psichiatrico di Durazzo, coi nervi davvero a pezzi per quanto aveva visto e subito. Morì quindi il 15 novembre 1951.
Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, dei quali fanno parte altri diciannove sacerdoti diocesani, è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giulio Bonati, pregate per noi.

*Santi Giuria e Samona - Martiri (15 novembre)  
Il Martyrologium Romanum ricorda oggi i Santi Martiri Guria, asceta, e Samona, che sotto l’imperatore Diocleziano furono condannati a morte dopo aver subito numerose e crudeli torture dal prefetto Misiano e vennero decapitati presso Emessa in Siria.
L’iconografia li raffigura insieme al Santo diacono e martire Abibo di Emessa, che però il martirologio commemora separatamente in data 2 settembre.
Martirologio Romano: A Edessa nell’antica Siria, Santi Martiri Guria, asceta, e Samona, che, sotto l’imperatore Diocleziano, dopo lunghi e crudeli supplizi, furono condannati a morte dal prefetto Misiano e decapitati con la spada.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Giuria e Samona, pregate per noi.

*San Giuseppe Mkasa Balikuddembé - Martire (15 novembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene: "Santi Martiri Ugandesi"
† Nakivubo, Uganda, 15 novembre 1885
San Giuseppe Mkasa Balikuddembé, appartenente al clan Kayozi, fu la prima vittima della persecuzione scatenata dal re Mwanga II contro i cristiani, prefetto della sala del re, protesse i fanciulli di corte dai vizi del re e per questo venne decapitato all’età di soli venticinque anni. Insieme con altri 21 martiri ugandesi è stato beatificato da Papa Benedetto XV il 6 giugno 1920 e canonizzato da Paolo VI l’8 ottobre 1964 a Roma.
Martirologio Romano: In località Mengo in Uganda, San Giuseppe Mkasa Balikuddembé, martire, che, capo della corte regia, dopo aver ricevuto il battesimo, conquistò molti giovani a Cristo e difese i ragazzi di corte dai vizi del re Mwenga; per questo, all’età di soli venticinque anni, fu decapitato per ordine del re adirato, divenendo prima vittima della sua persecuzione.
Fece un certo scalpore, nel 1920, la beatificazione da parte di Papa Benedetto XV di ventidue martiri di origine ugandese, forse perché allora, sicuramente più di ora, la gloria degli altari era legata a determinati canoni di razza, lingua e cultura.
In effetti, si trattava dei primi sub-sahariani (dell’ ”Africa nera”, tanto per intenderci) ad essere riconosciuti martiri e, in quanto tali, venerati dalla Chiesa cattolica.
La loro vicenda terrena si svolge sotto il regno di Mwanga, un giovane re che, pur avendo frequentato la scuola dei missionari (i cosiddetti “Padri Bianchi” del Cardinal Lavigerie) non è riuscito ad imparare né a leggere né a scrivere perché “testardo, indocile e incapace di concentrazione”. Certi suoi atteggiamenti fanno dubitare che sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali ed inoltre, da mercanti bianchi venuti dal nord, ha imparato quanto di peggio questi abitualmente facevano: fumare hascisc, bere alcool in gran quantità e abbandonarsi a pratiche omosessuali. Per queste ultime, si costruisce un fornitissimo harem costituito da paggi, servi e figli dei nobili della sua corte.
Sostenuto all’inizio del suo regno dai cristiani (cattolici e anglicani) che fanno insieme a lui fronte comune contro la tirannia del re musulmano Kalema, ben presto re Mwanga vede nel cristianesimo il maggior pericolo per le tradizioni tribali ed il maggior ostacolo per le sue dissolutezze. A sobillarlo contro i cristiani sono soprattutto gli stregoni e i feticisti, che vedono compromesso il loro ruolo ed il loro potere e così, nel 1885, ha inizio un’accesa persecuzione, la cui prima illustre vittima è il vescovo anglicano Hannington, ma che annovera almeno altri 200 giovani uccisi per la fede.
Il 15 novembre 1885 Mwanga fa decapitare il maestro dei paggi e prefetto della sala reale. La sua colpa maggiore? Essere cattolico e per di più catechista, aver rimproverato al re l’uccisione del vescovo anglicano e aver difeso a più riprese i giovani paggi dalle “avances” sessuali del re. Giuseppe Mkasa Balikuddembè apparteneva al clan Kayozi ed ha appena 25 anni.
Viene sostituito nel prestigioso incarico da Carlo Lwanga, del clan Ngabi, sul quale si concentrano subito le attenzioni morbose del re. Anche Lwanga, però, ha il “difetto” di essere cattolico; per di
più, in quel periodo burrascoso in cui i missionari sono messi al bando, assume una funzione di “leader” e sostiene la fede dei neoconvertiti.
Il 25 maggio 1886 viene condannato a morte insieme ad un gruppo di cristiani e quattro catecumeni, che nella notte riesce a battezzare segretamente; il più giovane, Kizito, del clan Mmamba, ha appena 14 anni. Il 26 maggio vemgono uccisi Andrea Kaggwa, capo dei suonatori del re e suo familiare, che si era dimostrato particolarmente generoso e coraggioso durante un’epidemia, e Dionigi Ssebuggwawo.
Si dispone il trasferimento degli altri da Munyonyo, dove c’era il palazzo reale in cui erano stati condannati, a Namugongo, luogo delle esecuzioni capitali: una “via crucis” di 27 miglia, percorsa in otto giorni, tra le pressioni dei parenti che li spingono ad abiurare la fede e le violenze dei soldati. Qualcuno viene ucciso lungo la strada: il 26 maggio viene trafitto da un colpo di lancia Ponziano Ngondwe, del clan Nnyonyi Nnyange, paggio reale, che aveva ricevuto il battesimo mentre già infuriava la persecuzione e per questo era stato immediatamente arrestato; il paggio reale Atanasio Bazzekuketta, del clan Nkima, viene martirizzato il 27 maggio.
Alcune ore dopo cade trafitto dalle lance dei soldati il servo del re Gonzaga Gonga del clan Mpologoma, seguito poco dopo da Mattia Mulumba del clan Lugane, elevato al rango di “giudice”, cinquantenne, da appena tre anni convertito al cattolicesimo.
Il 31 maggio viene inchiodato ad un albero con le lance dei soldati e quindi impiccato Noè Mawaggali, un altro servo del re, del clan Ngabi.
Il 3 giugno, sulla collina di Namugongo, vengono arsi vivi 31 cristiani: oltre ad alcuni anglicani, il gruppo di tredici cattolici che fa capo a Carlo Lwanga, il quale aveva promesso al giovanissimo Kizito: “Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo insieme, mano nella mano”. Il gruppo di questi martiri è costituito inoltre da: Luca Baanabakintu, Gyaviira Musoke e Mbaga Tuzinde, tutti del clan Mmamba; Giacomo Buuzabalyawo, figlio del tessitore reale e appartenente al clan Ngeye; Ambrogio Kibuuka, del clan Lugane e Anatolio Kiriggwajjo, guardiano delle mandrie del re; dal cameriere del re, Mukasa Kiriwawanvu e dal guardiano delle mandrie del re, Adolofo Mukasa Ludico, del clan Ba’Toro; dal sarto reale Mugagga Lubowa, del clan Ngo, da Achilleo Kiwanuka (clan Lugave) e da Bruno Sserunkuuma (clan Ndiga).
Chi assiste all’esecuzione è impressionato dal sentirli pregare fino alla fine, senza un gemito. E’ un martirio che non spegne la fede in Uganda, anzi diventa seme di tantissime conversioni, come profeticamente aveva intuito Bruno Sserunkuuma poco prima di subire il martirio “Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo più altri verranno dopo di noi”.
La serie dei martiri cattolici elevati alla gloria degli altari si chiude il 27 gennaio 1887 con l’uccisione del servitore del re, Giovanni Maria Musei, che spontaneamente confessò la sua fede davanti al primo ministro di re Mwanga e per questo motivo venne immediatamente decapitato.
Carlo Lwanga con i suoi 21 giovani compagni è stato canonizzato da Paolo VI nel 1964 e sul luogo del suo martirio oggi è stato edificato un magnifico santuario; a poca distanza, un altro santuario protestante ricorda i cristiani dell’altra confessione, martirizzati insieme a Carlo Lwanga.
Da ricordare che insieme ai cristiani furono martirizzati anche alcuni musulmani: gli uni e gli altri avevano riconosciuto e testimoniato con il sangue che “Katonda” (cioè il Dio supremo dei loro antenati) era lo stesso Dio al quale si riferiscono sia la Bibbia che il Corano.
(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Giuseppe Pignatelli (15 novembre)  

Saragozza, 27 dicembre 1737 - Roma, 15 novembre 1811
Martirologio Romano:
A Roma, San Giuseppe Pignatelli, sacerdote della Compagnia di Gesù, che si adoperò a fondo per ridare vita a questa famiglia religiosa ormai ridotta quasi all’estinzione e si dimostrò insigne per carità, umiltà e integrità morale, sempre rivolto alla maggior gloria di Dio.
Giuseppe Pignatelli nacque a Saragozza, in Spagna, il 27 dicembre 1737, dal principe Antonio e dalla marchesa Francesea Mancavo.
Dodicenne entrò con il fratello Nicola nella Compagnia di Gesù, dove diede mirabili prove di eroismo e di virtù. A quindici anni, l’8 maggio 1751, entrò nel noviziato della provincia aragonese, una casa santificata dalla presenza di S. Pietro Claver, l’apostolo dei Negri.
Vi si distinse nella pietà, nello studio e nell’esercizio della carità. Chiese insistentemente di essere mandato nelle Missioni fra gli Indiani d’America, ma i suoi voti non poterono essere appagati: la sua salute era molto cagionevole: si riebbe però, e nel dicembre del 1762 fu ordinato sacerdote.
Posto come insegnante di grammatica nel collegio di Saragozza, mostrò una particolare finezza pedagogica, unendo all’istruzione l’insegnamento pratico della virtù.
Nel contempo visitava le carceri prendendosi cura speciale dei condannati a morte, ciò che gli valse il nomignolo popolare di padre degli impiccati. Già uomo di consiglio, benché appena
trentenne, era largamente consultato: il suo zelo si impiegava inoltre nella difesa della Compagnia, fatta oggetto di una ignominiosa guerra.
Tra il 1759 e il 1768 i Gesuiti furono cacciati dai domini del Portogallo, disciolti in Francia, deportati dalla Spagna, dal Regno delle due Sicilie, da Parma e Piacenza e da Malta.
Dalla Spagna i Gesuiti furono imbarcati su tredici navi mercantili, scortate da tre corvette reali al comando di Antonio Carcelò, e deportati negli Stati Pontifici. Ma c’era un altro pilota in quella flotta di profughi, Giuseppe Pignatelli, che da quel giorno prese il timone della dispersa Compagnia, e con l’aiuto di Dio, la condusse sicura attraverso i mari e le città d’Italia, pur fra nuove e più violente tempeste.
Il Papa Clemente XIII protestò solennemente con la bolla “Apostolicum”, contro le espulsioni dei Gesuiti, ma ottenne effetto contrario.
La rivoluzione francese e poi in seguito le guerre napoleoniche crearono attorno a lui una situazione di incertezza e di timore: ma alla fine, il Beato vinse. A Colorno, nel ducato di Parma, poi a Roma e a Napoli potè ristabilire case della sua diletta Compagnia, dove morì il 15 novembre 1811.
Pio XI lo ascrisse tra il numero dei beati il 28 maggio 1933.
(Autore: Antonio Galuzzi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Juan Duarte Martín - Diacono e Martire (15 novembre)  

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007"
"Martiri della Guerra di Spagna"  

Yunquera, Malaga, Spagna, 17 marzo 1912 – Álora, Malaga, Spagna, 15 novembre 1936
Juan Duarte Martín, diacono della diocesi di Malaga, è uno dei martiri della guerra civile spagnola. Arrestato dai miliziani il 7 novembre 1936, morì dopo una settimana di atroci torture, perdonando i suoi aguzzini e godendo in anticipo della visione del Signore. È stato beatificato per decreto di papa Benedetto XVI il 28 ottobre 2007, insieme ad altri 497 martiri.
Juan Duarte Martín nacque il 17 marzo 1912 a Yunquera, a sessantacinque chilometri da Malaga, quarto dei dieci figli, di cui sei sopravvissuti, nati dal matrimonio fra Juan Duarte Doña e Dolores Martín de la Torre, contadini.
Ricevette il Battesimo tre giorni dopo la nascita e la Prima Comunione e la Cresima fra i sette e gli otto anni.
Ai suoi fratelli sembrava che la vocazione al sacerdozio fosse qualcosa d’innato in lui, sin da bambino: il suo divertimento preferito era preparare piccoli altari e, durante la Settimana Santa, fare delle processioni per gioco.
Era pure molto incline alla carità e chiedeva alla madre di soccorrere i poveri che bussavano alla loro porta.
I suoi genitori, quindi, non si stupirono quando dichiarò loro che voleva diventare sacerdote: gli unici dubbi erano dovuti agli scarsi mezzi economici di cui possiedevano. Per tranquillizzare il padre, Juan gli disse: “Non preoccuparti, Dio ti aiuterà”; così, a dodici anni, entrò nel Seminario di Malaga. Moltissimi testimoni hanno dichiarato che era serio, pio e servizievole verso i suoi compagni, al punto che regalava agli studenti più piccoli i libri che non gli servivano più. Quando tornava a casa per le vacanze non veniva meno ai suoi doveri di studio e di pietà e cercava di aiutare suo padre nelle faccende dei campi. Nel tempo libero, radunava i bambini che sentivano inclinazione al sacerdozio e, dopo aver tenuto delle brevi lezioni, li conduceva alla visita al Santissimo Sacramento o in gita presso alcune chiese in campagna.
Tutte le sere, lui presente, la famiglia pregava il Rosario, dopo il quale, prima di andare a dormire, il giovane s’inginocchiava davanti alla porta di camera sua per l’esame di coscienza, come raccontò sua sorella Carmen, in seguito entrata fra le Carmelitane Scalze.
I suoi studi compresero in tutto tre anni di Latino, due di Retorica, tre di Filosofia e quattro di Teologia.
In quegli anni, però, la vita iniziava a diventare difficile: l’11 marzo 1931 Juan uscì pressoché illeso dall’incendio della chiesa parrocchiale della Mercede di Malaga, dove si era rifugiato. Anche se la preoccupazione cresceva, egli era convinto che il Signore avrebbe trionfato e, dopo le vacanze, rientrò in Seminario e contribuì personalmente a ricostruirlo.
Il 1 luglio 1935 fu ordinato suddiacono a Granada, mentre il 6 marzo 1936, nella cattedrale di Malaga, ricevette il diaconato. Nonostante i tempi critici, non perse occasione di rendere testimonianza a Cristo, correggendo fraternamente chi bestemmiava o si comportava in maniera scorretta in chiesa, come pure camminando per il paese con la veste talare: forse fu per questo che, il 18 luglio di quell’anno, casa Duarte venne per la prima volta perquisita da parte dei cosiddetti “rossi”.
Il 7 novembre, Juan era solo in casa con la madre e stava pregando il Breviario: avvisato dell’arrivo dei miliziani, si nascose nel porcile che era nel cortile di casa, ma dimenticò il libro di preghiere, che fu preso dai perquisitori. A causa della delazione di una vicina di casa, che l’aveva visto nascondersi, fu infine arrestato così com’era, in maniche di camicia, e condotto a “la Garipola”, una sorta di prigione municipale.
I persecutori volevano obbligarlo a bestemmiare, ma, visto che egli rispondeva solo. “Viva Cristo Re!”, lo prendevano a bastonate. Di fronte alla sua ostinazione, prepararono torture più atroci, come infilargli canne sotto le unghie o fargli prendere scosse elettriche ai genitali per due ore al giorno, tramite un cavo collegato alla batteria di un’automobile.
Tale supplizio lo conduceva a confessare la sua fede con maggior coraggio, a tal punto che una volta, al pari di san Lorenzo, diacono anch’egli, arrivò ad avvisare i suoi aguzzini che non sentiva nulla perché il cavo si era staccato. Spesso, poi, veniva condotto attraverso il paese in groppa ad un asino, come a parodiare le processioni della Settimana Santa: per la gente, però, non si trattava di una presa in giro perché nel diacono, col volto e il corpo pieni di percosse, vedeva davvero Gesù sulla via del Calvario.
Non ci furono solo atti di violenza verso di lui, ma anche gesti di pietà, come quello di una donna che riuscì a fargli avere una camicia pulita o di coloro che gli procuravano fortunosamente da mangiare e da bere. I persecutori provarono perfino a tentarlo nella purezza, introducendo nella sua cella una ragazza di sedici anni: dato che ella non riuscì nel suo intento, le fu ordinato di tagliargli i genitali con un coltello da barbiere.
Dato che nemmeno quel tormento era valso a qualcosa, i miliziani decisero di portare Juan presso il ruscello Bujia, a circa un chilometro da Álora, per ucciderlo. Dapprima lo aprirono con un coltello nella schiena, poi lo cosparsero di benzina e gli diedero fuoco.
In mezzo alle fiamme, il diacono gridò: “Lo sto già vedendo!”. “Chi stai vedendo?”, chiese uno dei miliziani, finendolo con un colpo di pistola alla testa. Restò insepolto per alcuni giorni, finché un uomo lo seppellì presso un olivo.
Sette mesi dopo, i suoi familiari riuscirono a recuperare il suo corpo, che fu traslato da Álora a Yunquera il 3 maggio 1937 e, nel corso del processo di beatificazione, fu infine posto nella
chiesa di Nostra Signora dell’Incarnazione a Yunquera, di fronte all’altare, il 17 novembre 1985. Il 28 ottobre 2007 è stato beatificato in piazza san Pietro, inserito nel gruppo di 498 martiri della guerra civile.
Preghiera:
Signore Gesù, che hai detto:
“Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini,
anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”,
glorifica il Beato Juan Duarte, diacono e martire,
che non si vergognò di riconoscere il Tuo Santo Nome
in mezzo ai più grandi tormenti.
Concedimi, per i suoi meriti e la sua intercessione,
la grazia che ti chiedo per la tua infinita bontà.
Possa ciò accadere ad onore e gloria della Santissima Trinità
e per la diffusione del Tuo Regno qui sulla terra. Amen.
Padre nostro, Ave Maria, Gloria
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Juan Duarte Martín, pregate per noi.  

*San Leopoldo III il Pio - Margravio d'Austria (15 novembre)  
Melk, Austria, 1073 - Klosterneuburg, Austria, 1136
Nato a Melk, nel 1073 venne educato dal monaco Altmanno, santo vescovo di Passau. Succedendo sul trono al padre, che era margravio della Marca d'Austria, la sua prima preoccupazione fu quella di promuovere la riforma ecclesiastica. Alleato dell'imperatore di Germania Enrico V, ne sposò la sorella, vedova di Federico di Hohenstaufen.
Un matrimonio benedetto con 18 figli. I 40 anni del suo regno furono giusti e prosperosi, per quanto dovesse guerreggiare contro gli Ungheresi, che finalmente sconfisse. Il popolo lo chiamò Leopoldo il Pio e «Padre dei poveri».
Alla morte di Enrico V venne proposto come imperatore di Germania, ma rinunciò. Fondò diversi monasteri e si adoperò in maniera particolare per il monastero di Melk, sua città natale. Fondò anche quello di Neuburg, dove venne sepolto.
Ma alla sua memoria è legato Mariazell, nato prima come semplice cappella, o «cella», dedicata alla Vergine, e poi, sotto la guida dei monaci benedettini, diventato il più antico e il più importante santuario mariano di tutta l'Austria. Leopoldo morì nel 1136.  (Avvenire)
Patronato: Austria
Etimologia: Leopoldo = che si distingue, dal tedesco
Martirologio Romano: Nel cenobio di Klosterneuburg in Austria, deposizione di san Leopoldo, che, margravio di questo territorio, chiamato Pio già da vivo, fu promotore di pace e amico dei poveri e del clero.
Leopoldo III (o "Il Pio" o "Padre dei poveri", come lo chiamava il popolo), Margravio della Marca d'Austria, nacque a Melk nel 1073 e venne educato alla fede cristiana dal santo vescovo di Passau. Salito sul trono nel 1095, fino alla sua morte avvenuta nel 1136, il Santo marchese governò con
grande energia e avvedutezza, prodigandosi per la Chiesa, proteggendo i suoi diritti e promuovendo un'azione di riforma atta a rinnovare lo spirito ed i costumi ecclesiastici, elargendo cospicue elemosine, aiutando il monastero della sua città natale e fondando quello di Neuburg, dove poi sarà sepolto.
Nonostante la sua grande religiosità non potè evitare di essere coinvolto nelle lotte per le investiture e rimase fedele all'alleanza con l'imperatore di Germania, Enrico IV, di cui aveva sposato la figlia, sino a quando questi non venne scomunicato dal Papa.
Leopoldo si allontanò da lui, seguendone il figlio, Enrico V, che sembrava condividere il suo pensiero ed essere favorevole a Roma, tanto che si era ribellato al padre.
Con la moglie, già vedova di Federico di Hohenstaufen, Leopoldo visse una vita di fede profonda, mettendo al mondo ben diciotto figli che, vissuti in un'atmosfera ascetica, scelsero poi chi il convento, chi il monastero, chi il vescovado.
Regnò per quarant'anni con giustizia, dando al suo regno un periodo di fecondità e di parziale pace, poichè dovette combattere contro il popolo Magiaro che sconfisse. Morto Enrico V gli venne offerto di diventare Imperatore della Germania, ma egli vi rinunciò, preferendo l'Italia, accanto all'Imperatore Lotario III. Morì nel 1136 lungamente compianto e venne canonizzato nel 1485, divenendo Patrono dell'Austria cattolica, della dinastia degli Asburgo, poi Asburgo-Lorena.
Il suo nome è soprattutto legato alla fondazione di quella che, dapprima semplice cappella dedicata alla Vergine, dove c'era una immagine miracolosa della Madonna, divenne poi il Santuario mariano più antico ed importante della Stiria (Austria), conosciuto in tutto il mondo col nome di Mariazell.
Gli Imperatori d'Asburgo e i Granduchi di Lorena che successivamente portarono il nome di Leopoldo, ma ovviamente anche gli altri, ritenevano un onore ed un dovere essere considerati protettori pii e generosi del Santuario; prima di tutto si recavano ad onorare la Madonna in qualità di pellegrini per la sua protezione eppoi, come mecenati, consentirono la realizzazione di varie opere atte a migliorare l'accesso a Mariazell, quali vie di comunicazione, edificazione di chiese, conventi, immagini, nonchè la creazione di biblioteche, opere d'arte ed altro.
Viene spesso raffigurato con un edifico religioso in mano a ricordo delle numerose chiese e dei monasteri da lui fondati.
Nella diocesi di Massa Marittima-Piombino il suo culto venne introdotto con la costruzione della chiesa parrocchiale d Follonica, per gli operai delle ferriere del Granduca Leopoldo II che la dedicò appunto al suo santo patrono.
La costruzione, in muratura e ghisa è un capolavoro...
(Autore: Patrizia Fontana Roca - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leopoldo III il Pio, pregate per noi.

*Beata Lucia (Broccadelli) da Narni - Domenicana (15 novembre)  

Narni, 1476 - Ferrara, 1544
Della famiglia Broccadelli, già a 12 anni si consacrò a Dio con voto di verginità. Suo malgrado, fu costretta dai familiari a sposarsi.
Dopo un breve ma penoso periodo di vita matrimoniale, si separò dal marito, il quale più tardi diventerà frate francescano.
Nel 1494 entrò nel Terz'Ordine domenicano a Narni. Fu a Roma e poi a Viterbo dove il 25 febbraio 1496 ricevette le stimmate, verificate dallo stesso papa, da medici e da teologi.
Il duca di Ferrara Ercole I, conosciuta la santità di Lucia, le chiese di diventare sua consigliera e le costruì il monastero di Santa Caterina da Siena per l'educazione delle giovani ferraresi.
Negli ultimi anni di vita conobbe il disprezzo e l'umiliazione, che accettò con imperturbabile serenità.
Martirologio Romano: A Ferrara, Beata Lucia Broccadelli, religiosa, che tanto nella vita matrimoniale quanto nel monastero del Terz’Ordine di San Domenico sopportò con pazienza molte sofferenze e umiliazioni.
Lucia da Narni, nata il 13 novembre 1476, fin dalla nascita fu favorita di grazie celesti. A quattro anni tutta la sua gioia era di intrattenersi con una graziosa immagine del Bambino Gesù che chiamava il suo “Cristarello”. Allietato da superne visioni, il suo cuore si staccò sempre più dalla
terra, e a dodici anni fece voto di perpetua verginità.
L’angelica purità di Lucia dava ancor più risalto alla sua naturale bellezza e i suoi nobili parenti vagheggiavano per lei le più ricche nozze.
Lucia si scherniva con forza, ma essi giunsero fino alla violenza per piegare la sua volontà.
Allora, per comando della Madonna, e dietro il consiglio del suo confessore, accettò di sposare un nobile giovane, il quale, per l’amore che le portava, s’impegnò di rispettare il voto di Lucia, sebbene in seguito mettesse a dura prova la sua virtù.
Per cinque anni Lucia visse nella casa coniugale fra lacrime, preghiere e penitenze, per mantenere intatto il fiore del suo candore, finché ottenne di dividersi dal marito, che a sua volta, si fece Francescano, potendo cosi vestire l’Abito del Terz’Ordine di San Domenico. Fu allora dai superiori mandata nel Monastero di Viterbo dove, la notte del 25 febbraio 1496, ricevette le sacre Stimmate.
Per volontà del Duca di Ferrara, che la venerava come santa, e per ordine del Pontefice, si recò a Ferrara per fondarvi un Monastero del Terz’Ordine, del quale fu la prima Priora.
Morto il Duca, alcune suore, mosse dalla gelosia, ottennero che a Lucia fosse tolto ogni privilegio e messa all’ultimo posto, dove così umiliata passò i trentanove anni di vita che le restavano, consumandosi come un puro olocausto. Morì il 15 novembre 1544 a Ferrara.
Le sue reliquie sono in una teca posta sull'altare di San Lorenzo, nella cattedrale. Papa Clemente XI il 1 marzo 1710 ha confermato il culto.
(Autore: Franco Mariani Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Lucia da Narni, pregate per noi.

*San Luperio di Verona - Vescovo (15 novembre)  

San Luperio è il tredicesimo vescovo di Verona. Nella cronotassi ufficiale della diocesi scaligera figura dopo San Massimo e prima di San Servolo.
Di questo e di altri vescovi non si può garantire la cronotassi esatta, perché per gli elenchi dei vescovi scaligeri fino al secolo XI la questione resta ancora aperta.
Nel “Catalogus Sanctorum Ecclesiae Veronensis”, mons. Franco Segala ne trascrive l’elogium dal Martirologio della chiesa veronese: “Veronae sancti Luperii eiusdem  civitatis episcopi (qio, Deo et hominibus gratus, prater multiplicem rerum cognitionem, qua maxime praestitit, ita ad sublevandos egenos natura et ingenio propensus fuit ut pupillorum et viduarum patronus et pater, suo tempore, sit habitus).
Mons. Dario Cervato, nel suo recente volume “Verona agiografica” ritiene che san Servolo, San Massimo e San Luperio, debbano essere espunti dal catalogo dei vescovi veronesi in quanto non presente nel famoso “Velo di classe”.
Nel martirologio diocesano, era ricordato nel giorno della sua festa il giorno 15 novembre, fino alla riforma del Proprio veronese, del 1961, voluta dal vescovo Carraro, quando venne annoverato nella festa comune di tutti i vescovi veronesi, e la sua festa venne a cessare.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Macuto (o Maclovio) di Aleth - Vescovo (15 novembre)  

Martirologio Romano: In Bretagna, San Maclovio o Macúto, vescovo di Aleth, che si tramanda sia nato in Galles e morto nel territorio di Saintes.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santi Marino e Aniano - Martiri (15 novembre)  
Martirologio Romano: Sul monte Irschenberg nella Baviera, in Germania, Santi Marino, vescovo, e Aniano, martiri.
Marino, vescovo missionario o claustrale e Aniano, eremita nell'Irschenberg (Baviera superiore) sono presumibilmente di origine gallo-romana o irlandese. Marino, secondo la leggenda, fu ucciso e bruciato dai Vandali (Slavi delle Alpi?) e Aniano deve essere morto nello stesso periodo.
I corpi dei due santi furono trasportati solennemente, intorno al 755 (secondo la Vita, centocinquantanni dopo la loro morte) dal vescovo Giuseppe di Frisinga nella chiesa di Aurisium (Urrisium? = Irschenberg).
La più antica traccia di culto è la registrazione della festa di Marino al 15 novembre, "S. Marini episcopi et martyris", nel Sacramentario di Enrico il santo (ma non nelle più antiche litanie di Frisinga e Tegernsee).
Allo stesso giorno un Marinus figura dal secolo XIV in quasi tutti i calendari di Treviri. Nel 1142 dai documenti ambedue risultano essere stati patroni del monastero di Rott sull'Inno e nel 1373 di quello d'Irschenberg.
Rott pretendeva di possederne anche le reliquie, sino a che l’esumazione del 1723 ne dimostrò la presenza nella chiesa di Wilparting (Irschenberg). Della tomba di stile tardo gotico, che in questa occasione fu sostituita da quella di marmo in mezzo alla navata, sono conservate ancora le due pietre che lo ricoprivano.
Nel 1776 la maggior parte delle ossa fu posta in due reliquiari a sinistra e a destra dell’altare maggiore; l’ultima ricognizione di queste reliquie si ebbe il 15 novembre 1933 (la reliquia del cranio, conservata a Rott, in ogni caso, non appartiene a questo gruppo).
Ad Aniano è consacrata la cappella di Alb, probabilmente costruita sul luogo del suo eremitaggio. Immagini e quadri dei due santi sono conservati a Rott e nelle chiese di Irschenberg.
L’opinione che essi siano identici ai Santi Marino e Dedano venerati a Frisinga non sembra poi tanto errata, anche se la Regensburger Schottenlegende designa costoro come compagni di san Virgilio di Salisburgo.
(Autore: Alfonso M. Zimmermann - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Marino e Aniano, pregate per noi.

*Beata Maria della Passione (Elena Maria De Chappotin de Neuville) - Religiosa, Fondatrice (15 novembre)
21 maggio 1839 - Sanremo, 15 novembre 1904
Fondatrice dell'Istituto delle Suore Francescane Missionarie di Maria (+ 1904). Inviata a Madurè (India).
Il suo istituto si occupa soprattutto di migliorare la condizione della donna nei paesi di missione. Alla sua morte l'istituto contava 9 mila religiose, 86 missionari e 7 suore martiri in Cina (1900).
Martirologio Romano: A Sanremo in Liguria, Beata Maria della Passione (Elena) di Chappotin de Neuville, vergine, che, rapita nell’intimo dalla semplicità di san Francesco, istituì le Suore Francescane Missionarie di Maria e prestò sempre grande cura alla difesa della condizione della donna nelle terre di missione.
Maria della Passione, al secolo Hèléne de Chappotin, fondatrice delle Francescane Missionarie di Maria, nasce il 21 maggio 1839 da una famiglia di antiche origini lorenesi e bretoni.
Ha un carattere volitivo, turbolento e una forza trascinatrice che con il passare del tempo si ammorbidisce.
La attirano i grandi ideali e i successivi lutti familiari la fanno maturare. Nel 1860 entra fra le Clarisse di Nantes e inizia il suo cammino nella spiritualità francescana. Si ammala e deve lasciare il monastero. Iniziano anni di prova e di maturazione che la faranno decidere di entrare nella Società di Maria Riparatrice e riceve il nome da religiosa, Maria della Passione.
Ancora novizia si imbarca a Marsiglia per giungere nel Maduré, in India. A 28 anni è Superiora provinciale delle tre case che la congregazione ha aperto nel subcontinente. Questo incarico, esercitato per nove anni, le darà una vasta esperienza della vita e dei problemi missionari.
Nel 1874 il suo campo missionario si allarga ulteriormente attraverso la fondazione di una nuova casa a Ootacamund, nelle montagne del Nilgiris. Nel 1876 una serie di circostanze dolorose e contraddittorie la portano a lasciare la congregazione di Maria Riparatrice insieme a una ventina di religiose del Maduré. Questa rottura sarà il punto di partenza della sua opera nella Chiesa. Verso la fine dello stesso anno, con due sue compagne, parte alla volta di Roma per sottoporre a Papa Pio IX il desiderio di continuare ad essere religiose, fondando la congregazione delle Missionarie di Maria.
Il 6 gennaio 1877, Pio IX fa sapere che autorizza la fondazione e le invita a cercare un noviziato in Francia.
Nel 1882 ha luogo la fondazione della casa di Roma e la redazione delle prime costituzioni.
Dopo un altro doloroso periodo di difficoltà, in cui la sua opera è nuovamente messa in discussione, tanto da essere sospesa dall'incarico di superiora generale, viene reintegrata e l'Istituto è autorizzato a svilupparsi nella famiglia francescana.
Risalgono a quest'epoca di contrasti alcuni dei suoi testi spirituali e mistici più belli.
Sotto la sua guida, circa tremila religiose sono da lei inviate in 86 fondazioni, sparse in quattro continenti, che la vedono presente su tutti i fronti: apostolico, sociale, ecclesiale, spirituale. Maria della Passione muore a Sanremo il 15 novembre 1904.
Le Suore Francescane Missionarie di Maria
Al di là di ogni frontiera, le suore di Maria della Passione si distinguono, fin dagli inizi, per la loro internazionalità. Attente alla cultura del Paese in cui intendono radicarsi, si mettono con la
massima discrezione al servizio dei poveri, degli ultimi e dei perseguitati. Ad ogni latitudine si adattano alla lingua e agli usi del posto, adottandone anche l'abito: il sari in India, il pagne in Africa. Questa internazionalità delle comunità vuole riflettere l'universalità della Chiesa. Non c'è popolo che non possa capire il carisma delle suore, le quali hanno nell'Eucaristia il loro centro e la loro ragione d'essere. Tutto infatti, parte dalla contemplazione di Cristo incarnato che continua a essere presente nella Chiesa.
Maria della Passione è stata definita “maestra di spiritualità missionaria”: ha lasciato alle suore una quantità di scritti: legislativi, meditativi, liturgici, preghiere e meditazioni. Donna profondamente radicata nella fede, maturata dalle difficoltà della vita pratica, comprende il mistero di Dio e vuole entrarvi attraverso il dono totale di sé e il sacrificio.
Oggi le Francescane Missionarie di Maria sono più di settemila, di 74 nazionalità e distribuite in 76 Paesi. L'incontro fra il Vangelo e le diverse culture è la loro sfida, “al servizio del dialogo” e con i “lontani”. La minorità francescana dà l'impronta umile ed essenziale al loro stile di vita di cui colpisce l'approccio caloroso e immediato. Come Francesco desiderano condividere la bellezza della creazione nell'annuncio profetico del Vangelo con ogni fratello e sorella che sul loro cammino ha bisogno di istruzione, cure, consigli.
Con l'inserimento in ambiti di altre religioni e di diverse confessioni cristiane, le sorelle vivono l'amore universale come segno di comunione tra i popoli.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria della Passione, pregate per noi.  

*Santi Martiri di Ippona (15 novembre)  
Martirologio Romano: A Ippona in Numidia, nell’odierna Algeria, santi venti martiri, dei quali Sant’Agostino celebrò la fede e la vittoria; di loro si ricordano soltanto i nomi di Fidenziano, vescovo, Valeriana e Vittoria.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Ippona, pregate per noi.

*San Raffaele di San Giuseppe (Josef Kalinowski) Carmelitano (15 novembre)  

Vilna (Lituania), 1 settembre 1835 - Wadowice (Polonia), 15 novembre 1907
Nato a Vilnius, in Lituania, nel 1835, Josef Kalinowski è ingegnere militare e capitano di Stato maggiore. Lavora a ferrovie e fortezze. Partecipa, sia pur controvoglia, alla rivolta polacco-lituana contro i russi. Conosce per questo i lavori forzati in Siberia, dove porta con sé il Vangelo, l'«Imitazione di Cristo» e un crocifisso, beneficando chi incontra.
Liberato, entra quarantaduenne nel Carmelo di Graz. Divenuto fra' Raffaele di San Giuseppe, va in Polonia, a Czerna dove passa le sue giornate esercitando per ore e ore il ministero della Confessione. Vorrebbe restare lì, ma il suo ordine lo chiamo a fondare nuove comunità nel Paese. L'ultima la fonderà a Wadowice, dove morirà nel 1907.
E proprio qui, tredici anni più tardi, nascerà Karol Wojtyla, che proprio grazie all'eredità di Kalinowski scoprirà l'universo carmelitano, cui resterà sempre molto legato. E sarà proprio lui, divenuto Papa, a canonizzarlo nel 1991.  (Avvenire)
Martirologio Romano: Presso Wadowice in Polonia, San Raffaele di San Giuseppe (Giuseppe) Kalinowski, sacerdote, che, durante un’insurrezione popolare contro gli oppressori, fu catturato nel corso della guerra dai nemici e deportato in Siberia, dove patì molte tribolazioni, e, dopo essere stato liberato, entrò nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, a cui diede grande impulso.
Ingegnere militare a 25 anni, capitano di Stato Maggiore a 28, lavora alla grande ferrovia Kursk-Kiev-Odessa e poi alla fortezza di Brest-Litowsk.
Si è laureato a Pietroburgo perché in Lituania e Polonia i dominatori russi hanno soppresso gli studi universitari.
E poi è diventato ufficiale dello zar. Figlio di un professore di matematica, battezzato col nome di Giuseppe, in gioventù ha tralasciato la pratica religiosa, e vi è poi tornato sull’esempio di un disegnatore, suo compatriota e aiutante nella ferrovia.
Anno 1863: nuova rivolta polacco-lituana contro i russi. Lui non condivide: c’è troppa sproporzione, l’insurrezione fallirà. Ma non si sente di restarne fuori, perciò si congeda dall’esercito russo e si unisce agli insorti lituani, che lo nominano loro ministro della guerra. Nomina accettata, ma a un patto: lui non firmerà mai condanne a morte.
E nel 1864, schiacciata la rivolta, i russi condannano a morte lui. Non osando tuttavia fucilarlo, perché è troppo popolare, lo mandano ai lavori forzati in Siberia: carcere e miniera, fame e freddo.
Lui porta con sé il Vangelo, l’Imitazione di Cristo e un crocifisso. Ai suoi scrive: "Possono togliermi tutto, ma non la preghiera". Prega, soccorre malati, fa scuola ai più giovani, diffonde speranza.
Quando lo dispensano dai lavori forzati, si rimette a studiare, e nel 1873 può tornare infine in Polonia.
Per tre anni fa poi da precettore del giovane principe polacco Augusto Czartoryski accompagnandolo nei soggiorni di studio e di cura.
Novembre 1877: l’ingegnere e capitano Giuseppe Kalinowski diventa novizio carmelitano a Graz (Austria) col nome di fra Raffaele di San Giuseppe. Novizio a 42 anni, sacerdote a 47, vorrebbe terminare la vita a Czerna, nell’unico convento polacco dell’Ordine, appartato nello studio e nella preghiera. Tanto più che non è gran predicatore da mandare qua e là.
Ma viene gente da lui, sempre più gente lì a Czerna, perché padre Raffaele è una rivelazione come confessore, impegnato per ore e ore con i penitenti; anche le prostitute vanno a confessarsi da lui. Ma l’Ordine lo chiama a fondare nuove comunità (due a Cracovia, una a Przemysl, una a Leopoli in Ucraina), e a orientarne altre.
Così lui si rimette in cammino con autorità crescente e con energie declinanti; ma sempre con la "gioiosa accettazione della sofferenza" che tanto spesso raccomanda.
La tappa finale è Wadowice, dove con il generale dell’Ordine, padre Gotti, ha creato già nel 1892 il florido vivaio carmelitano detto “Collina di San Giuseppe”. Da qui, nel 1936 i suoi resti ritorneranno a Czerna. Giovanni Paolo II lo proclamerà santo nel 1991.
La Chiesa lo ricorda il 15 Novembre, mentre i Carmelitani Scalzi ne fanno memoria il 19 Novembre.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Raffaele di San Giuseppe, pregate per noi.

*Beati Riccardo Whiting, Roger James e Giovanni Thorne - Martiri (15 novembre)
m. Glastonbury, Regno Unito, 15 novembre 1539
Il Martyrologium Romanum commemora in data odierna i tre beati benedettini Richard Whiting, abate di Glastonbury, Roger James e John Thorne, presbiteri.
Accusati falsamente di cospirazione o di sacrilegio, furono impiccati e quindi orribilmente sventrati di fronte al monastero sotto il re Enrico VIII d’Inghilterra. Il papa Leone XIII li beatificò il 13 maggio 1895.
Martirologio Romano: A Glastonbury sempre in Inghilterra, beati martiri Riccardo Whiting, abate, Ruggero James e Giovanni Thorne, sacerdoti dell’Ordine di San Benedetto, che, con la falsa accusa di tradimento o di sacrilegio, furono consegnati sotto lo stesso re ai medesimi supplizi.
Nel 1534 il clero inglese fu chiamato a prestare un giuramento di supremazia che riconosceva il sovrano inglese come capo della Chiesa nel territorio del regno.
Ad eccezione dei Santi Tommaso Moro e Giovanni Fisher, dei monaci certosini e degli osservanti francescani, pochi altri si opposero immediatamente a questo tradimento nei confronti del papa. Gli abati di Glastonbury, Reading e Colchester prestarono tutti giuramento assieme ai loro monaci, sperando di poter così proteggere i loro antichi monasteri dalla tirannia del re, ma tutti e tre raggiunsero un punto di non ritorno quando s’intensificò la soppressione degli ordini monastici.
Glastonbury occupa un posto unico tra i centri spirituali europei e per lungo tempo fu una speciale meta di pellegrinaggi.
La morte dell’ultimo abate Richard Whiting, del tesoriere e del sacrestano, durante il regno di Enrico VIII, si colloca in un periodo ben documentato della sua storia. Riccardo Whiting era nato a Wrington nel Somerset, forse dopo il 1460, e fece i suoi studi a Cambridge, probabilmente al Magdalene College.
Diventò ben presto monaco, si laureò nel 1483 e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1501.
Fece poi ancora ritorno a Cambridge, ove conseguì il dottorato nel 1505. Per alcuni anni fu cappellano nel monastero di Wells e nel 1525 il cardinale Wolsey lo designò nuovo abate, alla
morte dell’abate Bere. La lettera contenente il mandato d’incarico, firmata anche da San Tommaso Moro, lo descrisse così: “un monaco retto e devoto, uomo discreto e provvido, sacerdote encomiabile per il suo stile di vita, le virtù e l’erudizione”.
Nel 1535, in seguito all’Atto di Supremazia, gli ispettori regi visitarono Glastonbury e, constatando come i monaci fossero assolutamente innocui, questi furono rassicurati sul loro futuro. Ma in seguito sopragiunse la soppressione dei monasteri e nel Somerset l’ultimo a sopravvivere fu proprio Glastonbury.
Qui gli ispettori giunsero nel 1539, sequestrando vari documenti tra i quali un libro contro il divorzio del re, alcune copie delle bolle pontifice ed una Vita di San Tommaso Becket. Interrogarono inoltre l’abate Riccardo che, rifiutando le accuse rivoltegli e dichiarando apertamente “la sua opinione devastante e traditrice contro la Maestà reale e i suoi successori”, fu rinchiuso nella Torre di Londra.
Thomas Cromwell ricevette un “libro di prove” dagli ispettori, purtroppo andato perso, che accusava l’abate di vari tradimenti. Cromwell annotò allora tra le sue “Remembrances”: “Item, l’abate di Glaston sarà processato a Glaston e là giustiziato”.
Egli era dunque già condannato in partenza. In realtà la scarità di fonti non rende possibile sapere con certezza dove si svolse il processo quale fu l’accusa specifica rivoltagli. L’abate Riccardo giunse a Wells venerdì 14 novembre 1539 con la sua scorta ed il giorno seguente fu portato a Glastonbury, ove gli fu negato di poter salutare un’ultima volta l’abbazia. Egli non sapeva che in realtà l’abbazia era ormai stata abbandonata e la congregazione dispersa. Venne trascinato su un carro sulla cima della collina del Tor, ove nonostante la vecchiaia e la malattia fu impiccato e smembrato. Al tramonto la sua testa fu esposta all’ingresso del monastero.
Allo stesso modo furono giustiziati il tesoriere John Thorne ed il sacrestano Roger James, anch’essi monaci e sacerdoti benedettini.
Essi furono accusati di sacrilegio poiché avevano nascosto diversi tesori della chiesa abbaziale affinché non finissero in mano al sovrano. La medesima accusa potrebbe essere forse stata rivolta al loro abate.
Richard Whiting, abate di Glastonbury, Roger James e John Thorne sono stati beatificati dal pontefice Leone XIII 13 maggio 1895 mediante conferma di culto.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Riccardo Whiting, Roger James e Giovanni Thorne, pregate per noi.

*San Rocco Gonzalez de Santa Cruz - Martire (15 novembre)  
Paraguay, 1576 - Caaro, Brasile, 1628
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: In località Caaró in Paraguay, santi Rocco González e Alfonso Rodríguez, sacerdoti della Compagnia di Gesù e martiri, che avvicinarono a Cristo le diseredate popolazioni indigene fondando i villaggi chiamati reducciones, nei quali il lavoro e la vita sociale si coniugavano liberamente con i valori del cristianesimo, e furono per questo uccisi in un agguato dal sicario di uno stregone.
Anche se figlio di coloni spagnoli, si può considerare il primo santo del Paraguay, perché nato e vissuto nello Stato sudamericano. Nacque nel 1576 ad Asunción, capitale del Paraguay e già a 14 anni convinse alcuni compagni a ritirarsi in luoghi solitari per fare penitenza.
Intraprese la via del sacerdozio cattolico, venendo ordinato il 25 marzo 1599 e i suoi primi atti furono rivolti agli Indios, dispersi lungo il fiume Paraguay, di cui si sforzava di apprendere la strana lingua: il guarani.
Fu destinato come curato della cattedrale ad Asunción, operò in questo compito per dieci anni; a 32 anni fatto eccezionale, fu nominato vicario generale dell’ampia diocesi; ma padre Rocco González, per la sua grande umiltà, rifiutò la carica ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1609.
Fu subito inviato presso la forte tribù dei Guaycurúes, che indusse a lasciare il nomadismo e insegnando loro l’agricoltura, egli stesso lavorò con l’aratro.
In tutta la vasta zona del Rio de La Plata, era in atto l’istituzione delle “riduzioni”, ossia villaggi indigeni nei quali i Gesuiti riunirono gli Indios che vivevano sparsi, per insegnare loro a lavorare stabilmente, convertirli al cristianesimo, avviarli alla vita civile; la prima “riduzione” fu quella di S. Ignazio Guassù (S. Ignazio il Grande).
Nel 1611 padre Rocco González prese a dirigere e perfezionare le “riduzioni” iniziate dal gesuita M. di Lorenzana.
Dal 1614 spinse le sue missioni apostoliche attraverso le regioni selvagge del Paranà e dell’Uruguay ancora inesplorate; continuando a fondare altre “riduzioni” dedicandosi ‘tutto a tutti’; di lui si diceva che era presente in tutti i compiti, non pensava altro che alla sua chiesa, faceva il carpentiere, aggiogava i buoi all’aratro, faceva il falegname, l’architetto e muratore delle costruzioni.
Prese a difendere gli Indios contro l’avidità dei ‘commendatori’, che requisivano le loro terre; istruiva nella fede e battezzava grandi e piccoli, amministrava i sacramenti. Ma gli stregoni delle tribù, ovviamente non gradivano la presenza dei missionari e uno di questi di nome Niezú, fingendo di accondiscendere alle ragioni del missionario, preparò invece una congiura per sterminare le “riduzioni” che per lui erano come fumo negli occhi.
Padre Rocco González de Santa Cruz, aveva progettato una nuova “riduzione” nel Caaró, allora all’estremo confine dell’Uruguay oggi nel Brasile, e il mattino del 15 novembre 1628 celebrò la Messa su un altare improvvisato, dopo aver fatto il ringraziamento, si mise a dirigere i lavori in atto; mentre stava chinato ad attaccare il batacchio alla campana dell'erigenda chiesa, uno dei congiurati lo colpì sulla testa con una mazza facendolo stramazzare a terra morto; insieme a lui morì anche il confratello padre Alonso Rodriguez.
I gesuiti Rocco González, Alonso Rodriguez e Juan del Castillo, ucciso due giorni dopo il 17 novembre 1628, furono beatificati da papa Pio XI il 28 gennaio 1934 e a seguito del riconoscimento di miracoli avvenuti per loro intercessione, sono stati canonizzati da papa Giovanni Paolo II ad Asunción in Paraguay, il 16 maggio 1988. Degni figli di s. Ignazio, impegnati con animo veramente missionario, non solo per il bene delle anime di questi popoli, ma anche per il loro sollievo economico e per il loro inserimento nella vita sociale; le “riduzioni” e gli sforzi dei gesuiti, furono magistralmente rappresentati nel famoso film ‘Mission’.
Autore: Antonio Borrelli
A stare dalla parte degli ultimi già 400 anni fa si rischiava grosso. Lo potrebbe testimoniare San Rocco Gonzalez de Santa Cruz, il primo santo del Paraguay, che ha pagato con la vita il suo servizio
a favore degli Indios. Nato ad Asuncion, capitale del Paraguay, nel 1576, figlio di coloni spagnoli, a 23 anni è ordinato prete e da subito si sente attratto dagli Indios, a cominciare da quelli che vivono sparpagliati lungo le sponde del fiume Paraguay.
Tutti devono avere una gran stima di questo prete cocciuto, generoso e infaticabile, se ad appena 32 anni viene nominato vicario generale della diocesi. Davanti all’inattesa “promozione” la risposta di Rocco è tra le più drastiche ed imprevedibili: non solo rifiuta l’incarico per il quale non si sente degno, ma abbandona anche ogni cosa per entrare nella Compagnia di Gesù. La quale ovviamente lo accoglie a braccia aperte, affidandogli subito un vasto campo di apostolato in mezzo ad alcune tribù di indios.
Il Padre Rocco si rimbocca le maniche, mette mano all’aratro e insegna l’agricoltura alla tribù dei Guayecùrues, aiutandola ad abbandonare il nomadismo. I Gesuiti da alcuni anni si sono impegnati nell’istituzione delle “riduzioni”, cioè villaggi nei quali riuniscono gli Indios per insegnare loro a lavorare stabilmente la terra, convertirli al cristianesimo e avviarli alla vita civile. Questi sforzi missionari sono stati recentemente rappresentati con efficacia dal film “Mission”.
Il Padre Rocco eredita le prime “riduzioni” realizzate dai confratelli che lo hanno preceduto, spingendosi ad istituirne altre nelle regioni ancora inesplorate del Paranà e dell’Uruguay. Il lavoro non gli fa paura, per cui eccolo trasformarsi ora in carpentiere, ora in falegname, ora in architetto piuttosto che in muratore a seconda delle circostanze e delle specifiche necessità, senza dimenticare comunque mai i suoi impegni pastorali.
La sua è un’azione di promozione umana e di emancipazione degli Indios dall’avidità degli “encomenderos”, i “commendatori” o per così dire i “padrini” dell’epoca, che requisiscono le terre degli Indios e che hanno tutto l’interesse a mantenerli in uno stato di soggiogazione e schiavitù.
Il Padre Rocco si scaglia con coraggio contro questa gente senza scrupoli, che si arricchisce sulle spalle altrui, arrivando anche a negare loro i sacramenti.
Ovvio che così facendo si crea dei nemici, che si vanno ad aggiungere ai nemici “storici”, cioè gli stregoni, che con l’arrivo dei missionari si sono visti portare via i “clienti”. E’ proprio uno di questi stregoni a studiare un complotto contro il Padre Rocco, sperando con ciò di fermare la sua opera di evangelizzazione e di promozione sociale.
Il 15 novembre 1628 lo colpiscono a tradimento proprio mentre sta lavorando con gli Indios, al termine della messa. Insieme a lui vengono massacrati anche due giovani confratelli, Alonso Rodriguez e Juan del Castillo. La Chiesa li ha riconosciuti martiri della fede, beatificandoli tutti e tre nel 1934 sotto il pontificato di Pio XI, mentre Giovanni Paolo II° li ha canonizzati il 16 maggio 1988 durante il suo viaggio in Paraguay.
(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Rocco Gonzalez de Santa Cruz, pregate per noi.

*San Sidonio - Abate in Normandia (15 novembre)

Martirologio Romano: Presso Rouen in Neustria, ora in Francia, San Sidonio, abate, che, originario dell’Irlanda, condusse vita monastica dapprima a Jumièges, poi nell’isola di Noirmoutier sotto la guida di San Filiberto e, infine, nel monastero da lui stesso fondato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Sidonio, pregate per noi.

*Beati Ugo Faringdon (Cook), Giovanni Eynon e Giovanni Rugg - Martiri (15 novembre)
m. Reading, Regno Unito, 15 novembre 1539
Il Martyrologium Romanum commemora in data odierna i tre Beati benedettini Hugh Faringdon (Cook), abate di Reading, John Eynon e John Rugg, presbiteri.
Con tenacia si opposero alle rivendicazioni del re Enrico VIII d’Inghilterra di dominio in ambito spirituale e per questo vennero accusati falsamente di cospirazione.
Di fronte al monastero furono allora impiccati e quindi orribilmente sventrati. Il Papa Leone XIII li beatificò il 13 maggio 1895.
Martirologio Romano: A Reading in Inghilterra, Beati martiri Ugo Faringdon o Cook, abate dell’Ordine di San Benedetto, Giovanni Eynon e Giovanni Rugg, sacerdoti, che, accusati di tradimento per essersi tenacemente opposti alle rivendicazioni di primato nella Chiesa del re Enrico VIII, morirono impiccati e sventrati con la spada davanti al monastero.
Nel 1534 il clero inglese fu chiamato a prestare un giuramento di supremazia che riconosceva il sovrano inglese come capo della Chiesa nel territorio del regno.
Ad eccezione dei Santi Tommaso Moro e Giovanni Fisher, dei monaci certosini e degli osservanti francescani, pochi altri si opposero immediatamente a questo tradimento nei confronti del Papa.
Gli abati di Glastonbury, Reading e Colchester prestarono tutti giuramento assieme ai loro monaci, sperando di poter così proteggere i loro antichi monasteri dalla tirannia del re, ma tutti e tre raggiunsero un punto di non ritorno quando s’intensificò la soppressione degli ordini monastici.
L’abate di Reading, Ugo, era comunemente chiamato Faringdon dal nome del suo paese d’origine ed il suo soprannome era Cook. In tale abbazia divenne monaco e fu eletto abate nel 1250,
ufficio assai elevato che dava diritto ad un seggio nella Camera dei Lords e nel Consiglio, quale magistrato della contea.
I cronisti a lui ostili lo definirono uomo “completamente senza cultura”, eppure il maestro della scuola elementare di Reading gli dedicò addirittura un libro di retorica.
Ugo inoltre riuscì a far rispettare un’eccellente disciplina nel suo monastero.
Si oppose fermamente ai predicatori delle nuove dottrine protestanti, che definiva “eretici e furfanti”, ma fu in buoni rapporti con il re Enrico VIII forse per convenienza, vista la vicinanza tra l’abbazia e Windsor. Erano soliti scambiarsi visite e doni.
Ugo tentò anche invano di aiutare il sovrano ad ottenere dal papa l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona, firmando la lettera di richiesta.
Nel 1536 sottoscrisse inoltre l’Atto di Supremazia e l’anno seguente godeva ancora della simpatia del re, visto che ricoprì un ruolo importante nelle esequie della regina Jane Seymour.
Alcune settimane dopo, accadde però un “incidente diplomatico”: l’abate Ugo offese il sovrano divulgando la falsa notizia della sua morte.
Interrogato da una commissione, fu poi però rilasciato. Quando poi fu intrapresa la soppressione degli ordini monastici, siccome Ugo non accettò tale soppruso nell’estate 1539 fu incarcerato nella Torre di Londra, accusato di tradimento. Insieme a lui furono processati John Eynon, sacerdote della chiesa di St Giles a Reading, e John Rugg, della prebenda di Chichester, che si era ritirato nell’abbazia di Reading.
Il primo era accusato di aver scritto e distribuito una copia del Pellegrinaggio della Grazia nel 1536, mentre il secondo possedeva una reliquia della mano di Sant’Anastasio, pur “sapendo che sua maestà aveva mandato degli ispettori nella suddetta abbazia per porre fine a tale idolatria”. Non vi è però certeza che questi due sacerdoti siano stati monaci benedettini.
I termini dell’accusa che coinvoltse tutti e tre sono sconosciuti, ma facilmente immaginabili. L’abate Ugo parlò assai chiaramente sul patibolo: a suo giudizio la supremazia della Santa Sede nelle questioni spirituali era “la fede comune di coloro che avevano il diritto di dichiarare i veri insegnamenti della Chiesa inglese”. La loro esecuzione avvenne all’esterno dell’abbazia di Reading il 15 novembre 1539.
Hugh Faringdon (Cook), abate di Reading, John Eynon e John Rugg sono stati beatificati dal pontefice Leone XIII 13 maggio 1895 mediante conferma di culto.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Ugo Faringdon, Giovanni Eynon e Giovanni Rugg, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (15 novembre)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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